LUCA MARCHESINI
testi teatrali - narrativa
LO STRANO SOGNO DI SOLLY SOLISAR
Nel chiuso di una stanza, due figure senza nome (forse marito e moglie, forse fratello e sorella) si trovano ad essere ciascuna il possibile personaggio del sogno dell'altra. Ma chi è il vero sognatore? Una commedia, interpretata, sembra, dai due in un tempo lontano, quando, giovani studenti, facevano parte di un gruppo teatrale amatoriale, fa da filo conduttore di una memoria sdoppiata che un ipotetico comune percorso di vita non basta a ricomporre.
Rappresentato a Milano allo Spazio Zazie
con Grazia Migneco e Gianni Mantesi
regia di Marco Rampoldi
Due grandi attori nei "cunicoli della memoria" firmati dal figlio
Il teatro è un malato non immaginario, ma per fortuna esistono centri di cura. Uno di questi è lo Spazio Zazie di via Lomazzo, dove, in povertà, si fa ricerca continua. Prendete lo spettacolo in cartellone fino al 22: "Lo strano sogno di Solly Solisar". Pièce " strana" che dice il tempo che passa, i segreti sepolti nelle mura domestiche, l'incombere dei gesti quotidiani. Quanto insomma resta, confuso e sbiadito, dell'esistere: segnali enigmatici, telefonate arcane, fantasmi della casa dove vivono - sopravvivono - due vecchi (fratello e sorella, marito e moglie?). Come in "Les chaises" di Ionesco, essi aspettano visitatori che non vengono; le stanze sono "cunicoli" della memoria. Chi dei due è infermo e smemorato e chi continua a vivere e a ricordare? Circolano lo spleen cechoviano, la congiura delle cose di Ionesco, l'attesa (laica) di Godot come in Beckett e, naturalmente, gli sperdimenti esistenziali di Kafka. A me personalmente la pièce ha ricordato "Amos", un testo di Anna Langfus, scrittrice polacca superstite del Ghetto di Varsavia che vinse il Goncourt con un romanzo in francese, "Les bagages de sable": e capirete perché se dirò che avevo tradotto per la Rai " Amos", testo pre-beckettiano sull'attesa, negli anni '60. L'autore dello "strano sogno", con la regia partecipe di Marco Rampoldi, è Luca Marchesini, figlio di Grazia Migneco e Gianni Mantesi. I quali mettono a disposizione del figlio autore la loro maestria e, ovviamente, la loro dedizione. Dando al loro ragionare tra realtà e sogno accenti molto umani.
Ugo Ronfani
19 maggio 2005 - Il Giorno
Babbo e mamma nella pièce di Luca con i sogni di Solly
Commedia filosofica soffusa di ironia, Lo strano sogno di Solly Solisar è l' ultima fatica di Luca Marchesini, che la filosofia l'insegna al liceo e il teatro ce l'ha nel sangue, dato che è figlio di Gianni Mantesi e Grazia Migneco. E proprio loro, diretti da Marco Rampoldi, ne sono i gustosi interpreti. Sulla scena all' apparenza quotidiana di una vecchia cucina, scorre la vita di una anziana coppia. O meglio, le vite, perché nello sviluppo in tre quadri - due soli e uno d' insieme - la realtà si scompone in verità differenti, enigmi d' identità che neppure il finale, con la simbolica attesa di ospiti che non arriveranno, vorrà sciogliere. Un testo denso che ha il pregio della leggerezza, e che i due interpreti fanno vibrare in tutte le sue corde.
Simona Spaventa
20 maggio 2005 - La Repubblica
Quello strano sogno di una coppia che non aspetta Godot
Davvero uno strano sogno quello che una coppia, sul palco e nella vita, porta in scena. Gianni Mantesi e Grazia Migneco: una coppia "fresca" che con questo "Lo strano sogno di Solly Solistar", pièce di Luca Marchesini, per la regia di Marco Rampoldi, danno dimostrazione di come, per fare teatro (quello buono) non siano indispensabili grandi produzioni, effetti speciali o nomi di grido (meglio se prestati da qualche altro schermo, piccolo o grande che sia). Teatro di parola, soprattutto. E di passione. In scena un letto, un tavolino, una cucina a gas e un rubinetto. Appeso al muro un orologio dalle lancette ferme. Nella pièce tre quadri. Nel primo lui parla, anzi monologa, e lei è immobile (dorme? sogna? è in coma o addirittura morta?), lui le tiene, anzi si tengono, compagnia fra una lettura, misteriose telefonate, ricordi d'infanzia, piccoli stralci di quotidianità. Nel secondo è lui che dorme-sogna o forse in coma o addirittura morto, ed è lei che parla anzi monologa. Ma forse è tutto il contrario, forse sono l'uno il sogno dell'altro. Potrebbero essere un coppia o fratello e sorella. Non ci sono confini netti. Le cose, spesso, non sono proprio quello che sembrano. Poi ecco il terzo, bellissimo quadro. Sono insieme (ma forse, questa volta, stanno sognando entrambi) e stanno aspettando dei vecchi amici che si sono invitati a cena. Cose di gioventù. Ricordi sbiaditi dal tempo. E la casa si popopla di presenze, nasconde qualcosa, non mostra tutto di sé. Come spesso fanno le cose. Ma come in Beckett stanno aspettando qualcuno che non arriverà. E allora si tira avanti con quei piccoli-grandi gesti quotidiani che fanno la vita. Mentre l'orologio sul muro, finalmente, comincia a far scorrere i secondi . E gli applausi.
Luca Vido Il Giorno
Grazia Migneco e Gianni Mantesi
Lo strano sogno di Solly Solisar
Lo strano sogno di Solly Solisar è una commedia nella commedia, o nella realtà che ci viene rappresentata in scena, ma qual è la realtà? Quella del primo atto? Dove Lui vegliando sul coma di Lei, sua moglie, la intrattiene, leggendo la commedia e parlando delle sue vicende quotidiane. Oppure è quella del secondo? Dove è Lei a vegliare sul coma di Lui, ora suo fratello, ed è Lei a leggere per Lui, tra una telefonata e una seduta spiritica. O ancora, è quella del terzo? Entrambi svegli, di nuovo marito e moglie, in attesa di ospiti, gli stessi con cui avevano interpretato la commedia, in gioventù, quando facevano parte di un gruppo amatoriale di teatranti. C'è incertezza. Ruoli, ricordi, sogno e realtà si confondono. Chi è il sogno di chi? E poi il sogno, è frutto del coma o di un sonno da ubriachi? E ancora, cos'è il sogno e cosa è la realtà? Dove finisce l'uno e inizia l'altra? Questi e altri gli interrogativi che potrebbero sorgere, ad ognuno le proprie domande e le proprie risposte, ad ognuno la propria interpretazione. Da vedere...e rivedere, per cogliere anche alcuni dettagli scenici; un esempio? Guardate l'orologio. Stefano Raso